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Uomo di
personalità interessante e dall'attività eclettica, nato ad Albinea in
provincia di Reggio Emilia il 10 Agosto 1915, giorno di San Lorenzo, Gino
Vecchi appartiene a quella generazione che ha vissuto direttamente le
conseguenze e i drammi di due guerre mondiali.
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Perduti
tragicamente all'età di soli due anni il padre, già promettente capitano
di lungo corso, caduto sul fronte italo-austriaco sui colli attorno a
Bassano del Grappa e la giovane madre che non ha retto il dolore per la
sua prematura scomparsa, è cresciuto nell'ambiente rurale della verde
pianura padana subendo il fascino del mare e della cultura intesa come
mezzo per la comunicazione tra i popoli.
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Alternando fin da
giovane con pari passione sia gli studi umanistici, sia quelli scientifici
centrati su quella che all'inizio del secolo era considerata il grande
simbolo di progresso, la radio, circa quindicenne si spinse in bicicletta
fino a Rimini per vedere per la prima volta quel mare che avrebbe poi
segnato così profondamente il resto della sua vita.
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Avrebbe in seguito
soggiornato a lungo in isole remote e in posti di mare (Pianosa,
Portofino, Rodi, Tilo, Castelrosso, Creta, Sottomarina, Venezia, Capri,
Massaua, Buenos Aires, Ushuaia) e in particolare in molti luoghi costieri
di tutta la Riviera Ligure.
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Trascorre il lungo
periodo della leva militare marittima principalmente imbarcato su
sommergibili, innovazione e vanto della marineria italiana di allora,
navigando per il Mediterraneo e partecipando ad azioni operative navali in
campagne belliche tipiche dell'epoca a cavallo tra le due guerre mondiali.
Il periodo tra il suo congedo e il suo quasi immediato richiamo
in Marina allo scoppio della seconda guerra mondiale fu veramente breve.
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Privi di radar e
di quegli apparati di telecomunicazione che che caratterizzano l'odierna
marineria, il sistema difensivo costiero era allora affidato a strutture
tradizionali quali vedette di avvistamento situate per lo più sopra
dirupi scoscesi, veri eremi inaccessibili e "isole" nell'isola
dove venne destinato, ad esempio, nella località di Zambica all'interno
dell'isola di Rodi e già antico tempio ellenico di devozione pagana prima
e cristiana dopo o nella lontana isola di Tilo.
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Per quel tipo di
vita era indispensabile avere buone gambe per la scalata, rispetto per la
natura e una certa introspezione spirituale che di certo non mancava a
Gino Vecchi che lì poteva trovare una grande occasione di studio nella
ricca storia delle gesta dei Cavalieri di Rodi.
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Nelle stazioni di
vedetta le comunicazioni erano allora scambiate ancora con mezzi
principalmente visivi, bandiere e segnali semaforici o con l'eliografo,
strumento ottico che utilizza il riflesso della luce del sole, del cui uso
era particolarmente capace meritando un elogio quando dalla cima del monte
Vigla comunicò con un convoglio mercantile italiano che aveva
inavvertitamente ignorato la sagoma pietrosa dell'isola di Castelrosso
stagliata e confusa tra i contorni predominanti della costa anatolica,
salvandolo da preda certa della flotta inglese.
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Ultimo avamposto
orientale delle isole italiane dell'Egeo e centro decaduto dell'antico
commercio marittimo tra Venezia, Costantinopoli e Medio Oriente,
l'isola di Castelrosso era allora la più esposta e facile occasione di
alternate
conquiste, ora delle forze militari inglesi dislocate ad est nella vicina
isola di Cipro, ora dalle forze militari italiane dislocate ad ovest
nell'isola di Rodi.
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Approdato come
responsabile della locale stazione segnali della Marina, dopo l'ennesima
riconquista italiana di questa isola che correntemente è più conosciuta nel circuito
turistico internazionale nella versione in grafia greca di Kastellorizo,
derivante dal vecchio nome attribuitole dai navigatori veneziani (ritornata nuovamente
all'attualità
pubblica negli anni '90 con la vincita dell'Oscar da
parte del film "Mediterraneo" con una trama che vagamente assomiglia a questa storia), Castelrosso ebbe un ruolo significativo nella vita di Gino Vecchi.
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Di carattere
pacifico e socievole e ben lontano da qualsiasi desiderio di
colonizzazione dei locali, popolazione erede della così antica civiltà
ellenica, in un'atmosfera da Armata Sagapò che lo scrittore Renzo Biasion
ha così ben riportato nel suo romanzo descrivendo il senso del dovere dei
soldati italiani sempre unito ad uno spirito di spontanea umanità,
Castelrosso fu per lui un'ennesima importante occasione di studio e
scambio culturale finendo, infine, per sposare con una fastosa cerimonia
densa di simboli di collaborazione tra i due popoli, la bella figlia del
Segretario della Delegazione del Governo (una importante carica politica nel possedimento) e anch'egli uomo di cultura.
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E' lui infine ad
ammainare per l'ultima volta la bandiera italiana dalla rocca di Monolito,
auto-descrittivo toponimo di una località interna dell'isola di Rodi,
quando fatalmente arrivò anche per lui la data del 8 Settembre 1943. |
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